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Le prove dello sfascio della sanità calabrese

I mandanti e gli autori del saccheggio dei servizi erogati ai cittadini

Il gioco allo “scarica barile” tra Governo e Regione, con il ruolo attivo di qualche ex commissario, non giova a fare chiarezza su quello che è accaduto negli ultimi 10 anni nella sanità calabrese. Il dibattito, a tratti stucchevole, rischia di far perdere di vista le responsabilità e le ragioni del fallimento del Piano di rientro, del buco nei conti e dell’insufficienza dei Lea. Il merito, troppo spesso, viene sopraffatto dal turpiloquio e per i calabresi diventa difficile capire le ragioni degli uni e degli altri. Le responsabilità è a vari livelli: politico nazionale e locale, amministrativo e anche sindacale.

Partiamo dal governo nazionale.

  • al ministro Grillo non si può addebitare responsabilità in capo a chi l’ha preceduta.
  • Abbiamo assistito al gioco delle tre carte con i governi Renzi e Gentiloni nei confronti del presidente della Regione Mario Oliverio. Una partita correntizia all’interno del governo giocata sulla pelle dei calabresi.
  • L’attività legislativa nazionale è stata piegata a logiche antidemocratiche, mirata a colpire o a favorire i governatori di turno a seconda delle convenienze del momento.
  • I governi Renzi e Gentiloni hanno creato i presupposti per non far uscire la Calabria dal commissariamento e dal piano di rientro, alimentando un nuovo scontro, l’ennesimo, tra Stato e Regione.
  • “Disavanzo, servizi non garantiti e infiltrazioni della ‘ndrangheta”, sono le emergenze che hanno spinto il ministro Grillo e il Governo all’emanazione di un decreto emergenziale.
  • A Roma e in Calabria è chiaro il motivo del perché “certi strumenti non hanno funzionato”?

Al ministro, che evidentemente, non conosce lo scenario del fallimento del quinquennio 2010/2015, proviamo a fare due domande.

  • Ci sa dire chi ha deciso di tagliare il personale, i posti letto  e i servizi in modo scriteriato?
  • Ci sa dire chi ha deciso di far prevalere la parte economica del Piano di rientro e non quella sanitaria?
  • Ci sa dire chi aveva interesse a dimostrare quanto era bravo a far quadrare i conti, ordinando alle aziende di sottostimare gli accantonamenti di bilancio, per poter fare carriera?
  • Ci sa dire chi ha deciso di chiudere gli ospedali, unici presidi sul territorio, e lasciare al proprio posto il personale a non fare nulla assecondando le richieste del sindacato?
  • Ci sa dire chi ha impedito la costruzione delle Case della Salute, previste dal piano di rientro, finanziate e rimaste dopo 10 anni sulla carta?
  • Ci sa dire chi ha voluto la chiusura della Fondazione Campanella, nata come centro di ricerca e cura dei tumori, fallita al pari di un’azienda decotta?
  • Ci sa dire chi ha chiuso i centri di cure primarie che nella fase sperimentale, finanziati con fondi degli Obiettivi di Piano, avevano dimezzato gli accessi dei codici bianchi nei Pronto soccorso degli ospedali Hub?

Le risposte il ministro le può trovare nel suo dicastero, tra i suoi dirigenti e qualche tecnico. E in tale contesto apprezziamo le dichiarazioni del senatore Marco Siclari dei giorni scorsi, “lo Stato paghi il conto del suo fallimento”.

In quei cinque anni, però, è accaduto anche altro. La bellezza di 663 posti letto assegnati ma rimasti sulla carta per carenza di personale e spazi negli ospedali Hub; Da una parte si chiudevano gli ospedali pubblici e dall’altro si trasferivano le attività chirurgiche e di riabilitazione al privato accreditato.

Il blocco del turnover per ammissione dell’ex commissario Scura, ha prodotto due danni: nel 2015 oltre 100 UOC ospedaliere rette da “primari” facenti funzione; la perdita di mezza generazione di medici calabresi, andati a lavorare in altre regioni.

Andando a ritroso i numeri dicono che tra il 2008 e il 2012 i ricoveri in Calabria sono diminuiti del 29% e ciò ha inciso anche sulla mobilità attiva (-20%); la mobilità passiva è passata dal 15% al 19% dei ricoveri complessivi. Inoltre da un’analisi approfondita sui primi anni del piano di rientro, è emerso che il 2,5% dei ricoveri fuori dalla Calabria non erano di residenti in Calabria; l’8,5% erano cure in soggetti con domiciliazione sanitaria fuori dalla Calabria. In sostanza la Calabria veniva e viene truffata dalle altre Regioni e di ciò c’è consapevolezza da oltre 5 anni. Per tutto questo i ministeri vigilanti sono rimasti in silenzio e intanto  2,5 miliardi di euro dalla Calabria sono finiti nelle casse di altre Regioni, quasi tutte del nord.

Nelle tabelle che pubblichiamo, i numeri del fallimento,  il trend della percentuale dei ricoveri in mobilità passiva, dell’intensità di cura, del deficit annuale e dei Lea dal 2010 ad oggi.  E’ la certificazione che mentre in Calabria si tagliavano i servizi, ai cittadini non restava che subire le liste di attesa o prendere un treno ed andarsi a curare altrove.

E ora veniamo alla politica calabrese, quella che in ragione del consenso “immediato e clientelare”, come spiega bene a calabriaextra.it il presidente dell’ordine dei Medici di Cosenza, Eugenio Corcioni,  si è mostrata incapace e inadeguata a proporre e riforme e a verificare gli effetti. Quella che nel 2004 ha approvato un inutile piano sanitario perché ha continuato a produrre buchi e non a garantire i Lea. Peggio ancora quella del 2007 che per revenge politico ha accorpato le aziende sanitarie e presentato il blitz legislativo come una grande riforma salvo poi trasformatasi in una grande farsa. E per chiudere il decennio, cosa dire del piano di rientro firmato a pochi mesi dalle elezioni da un presidente della Regione, Agazio Loiero, stremato da oltre un anno di trattative e minacce di commissariamento da parte dei ministri Tremonti-Sacconi. I ministri, protesi a gettare le basi per le imminenti elezioni regionali poi vinte da Scopelliti, hanno preteso tagli lineari; chiusure e riconversioni di 18 ospedali; bloccato il pagamento delle premialità per circa 500 milioni di euro, facendo così mancare ossigeno alla sanità calabrese.

E veniamo al governo regionale attuale, peraltro espropriato dei pochi poteri che gli erano rimasti, che ha commesso più di un errore. Il primo è essersi fidato dei governi “amici”, il secondo di non aver contrastato la deriva già nel 2015 in primo luogo rinegoziando il piano di rientro e poi approvando una vera riforma sanitaria di cui la Calabria ha bisogno.

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