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Sanità, cronistoria di un disastro annunciato

Tagli lineari al personale, scarsi investimenti. Il fallimento di un piano di rientro nato sbagliato

Le condizioni che portarono la Calabria a stipulare l’accordo per il piano di rientro erano di natura finanziaria e sanitaria.

Nel 2009 il valore dei livelli essenziali di assistenza (Lea) era di 88 punti contro un valore minimo di 160;

Il Tasso di Ospedalizzazione, cioè il rapporto tra il numero di ricoverati e la popolazione, di 182,4 contro il valore di riferimento nazionale di 160; Era il segnale che in Calabria i cittadini si rivolgevano agli ospedali per patologie che dovevano essere trattate in altri luoghi di cura come centri di riabilitazione e lungodegenza; residenze sanitarie per anziani o con ricoveri diurni.

La percentuale di parti cesari era del 45% contro un valore soglia del 20%.

E’ il fronte economico finanziario che preoccupava di più, c’era il rischio concreto del default della Regione.

Nel 2009 il deficit annuale era di 254 milioni di euro, nonostante le addizionali fiscali, restavano coprire altri 96 milioni di euro. Inoltre il meccanismo dei trasferimenti del ministero prevede che una parte dei fondi venga erogato al raggiungimento degli obiettivi fissati. Nel 2009 , proprio a causa del mancato raggiungimento degli obiettivi, oltre 600 milioni di euro di premialità venivano trattenute dal ministero, generando a cascata ritardi anche di 1000 giorni nei pagamenti dei fornitori per mancanza di liquidità. E poi c’era il “buco” non coperto dalla Regione.

Cura della tiroide, il primato calabrese è dei privati

Nel 1999, giunta Meduri, la Regione stipulò un mutuo di 350 miliardi delle vecchie lire per pagare i debiti pregressi e chiudere con il passato. Nel frattempo tra il 2001 e il 2008 si accumularono altri debiti la cui quantificazione arrivò solo nel 2012, pari a 1,4 miliardi di euro.

Per pagarli nel 2011 si stipularono 2 mutui di 428 e 90 milioni di euro a cui si aggiunsero altri 355 milioni di euro dei 688 milioni disponibili di fondi Fas . Erano soldi per lo sviluppo e la Regione fu costretta ad utilizzarli per pagare prima i debiti.

Nel 2015, dopo due piani operativi, la Regione non esce dal Piano di rientro.

I Lea (livelli essenziali di assistenza) passano da 88 a 147, lontani dal valore minimo di 160.

Il deficit annuale passa da 254 milioni a 58 milioni di euro, tutto coperto con le addizionali Irpef e Irap.

Quella che, però, doveva essere una riorganizzazione più efficiente della sanità calabrese si è trasformata in un saccheggio dei servizi: Ospedali chiusi, 5000 tra medici e infermieri in pensione e non sostituiti, pochi o nulli gli investimenti. Anzi in alcuni casi improduttivi come l’acquisto della Pet e la Cardiochirurgia a Reggio non entrata in esercizio per il blocco del turnover.

Nel 2015, rispetto al 2010, i costi del personale scendono di -154 milioni; la spesa farmaceutica convenzionata di -127 milioni, acquisto di beni sanitari e non sanitari di – 16 milioni. Però i costi operativi aumentano lo stesso, di 27 milioni di euro perché ad aumentare è la spesa farmaceutica ospedaliera + 175 milioni e l’acquisto di servizi non sanitari di + 48 milioni di euro.

Anche l’acquisto di beni e servizi dai privati cresce di + 28 milioni di euro, ma mentre si tagliano i budgets delle cliniche private -12 milioni, aumenta la specialistica convenzionata +2 milioni; la riabilitazione +3,2 milioni; l’assistenza protesica e integrativa +23 milioni. La chiusura degli ospedali fa esplodere i costi per i trasporto sanitario, ambulanze ed elisoccorso + 12,7 milioni di euro.

Sul fronte dei bilanci, il fondo sanitario cresce di 300 milioni, i costi operativi aumentano di 216 milioni. Mentre in Calabria c’era chi smontava i servizi sanitari, i calabresi, non trovando risposte, iniziano a curarsi fuori dalla Calabria, anche per patologie a bassa intensità chirurgica. La mobilita passiva passa da 233 del 2011 a 277 milioni, nel 2017 arriva a toccare la cifra record di 319 milioni di euro. Complessivamente, tra il 2010 e il 2018 la Regione ha pagato 2,5 miliardi per far curare i propri cittadini fuori dalla Calabria. E anche qui arriva lo scandalo, mentre in Calabria si facevano le pulci alle strutture private convenzionate contestando attività inappropriate, fuori dalla Calabria il saccheggio aumentava. E’ di questi giorni la notizia che la Regione ha deciso di contestare decine di milioni di euro alle Regioni del Nord. La sensazione, leggendo i dati, è che i Piani di rientro per come sono stati impostati, siano serviti per finanziarie la sanità di Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Lazio.

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