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Decreto sanità, l’ultimo schiaffo a una regione morente

Contrapporre una riforma di sistema alle misure straordinarie del Consiglio dei Ministri

E’ imbarazzante con quanta faciloneria il ministro della Salute Giulia Grillo pensi di risolvere i problemi della sanità calabrese. E fa tenerezza quando dice “ in Calabria c’è una sanità di serie D” e in 18 mesi pensa di portarla in Serie A. Ed è puerile pensare di poter risolvere un problema strutturale e di sistema, nominando super commissari dai poteri di carta. Il ministro utilizza un’inchiesta giornalistica sull’Asp di Reggio per mettere sotto scacco tutta la Calabria. Un sistema sanitario fatto a brandelli da 10 anni di commissariamento, oltre 1000 decreti di riorganizzazione rimasti sulla carta e tagli su tutto, a partire dal personale anche di quelle strutture che funzionavano e offrivano servizi decenti.
Sorprendono l’assenza di reazioni e di analisi anche severe della politica di ieri, responsabile di scorribante per alimentare il consenso, e quella di oggi, sospesa tra continuismo e rassegnazione.
Nessuno che spiega al ministro che è dal 2008 che lo Stato prova a mettere ordine nell’ azienda sanitaria “canaglia” di Reggio Calabria e tutti, prefetti, professori, burocrati, medici, professionisti di varia risma hanno fallito miseramente la missione e nessuno ad oggi ha pagato il conto. Chi negli ultimi anni ha cercato di scoperchiare la pentola del malaffare è stato impallinato, prima da certo sindacalismo interessato a prebende, e poi da politici locali interessati solo a qualche voto.
Le ragioni del fallimento del piano di rientro sono presto dette, ma prima bisogna richiamare alle responsabilità quei governi nazionali (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni) e regionali (Loiero-Scopelliti) che per oltre 10 anni hanno fatto finta di non sapere che sotto la cenere covava la più grande mega truffa ai danni dello Stato, coperta magistralmente da sindaci “interessati” e politici “predatori”. Categorie che spesso abbiamo trovato uniti contro chi ha cercato di smontare il “sistema” che ha (s)governato la sanità reggina. Un grumo di potere a cui si sono uniti avvocati senza etica, sindacalisti senza vergogna e medici prezzolati. Tutti concentrati ad accaparrarsi pezzi di potere per carriere personali, ed alimentare il sistema del consenso malato. Soldi sporchi per alimentare vite da nababbi, sottratti alla povera gente che da anni non riesce ad avere i servizi minimi essenziali per curarsi.
Oggi una parte della Calabria paga un prezzo alto per l’inettitudine della classe politica a governare sistemi complessi, l’incapacità di proporre riforme e, soprattutto, per la sciatteria con cui si è governata la cosa pubblica.
Una cosa deve essere chiara a tutti, questa decisione del governo è l’ultima terapia per una terra morente; condivisibile l’obiettivo di provare a dare alla Calabria un sistema efficiente, ma solo un allocco può credere che possa essere risolutiva, se all’interno non inizia un processo di autoriforma che punti sulla meritocrazia. Non è con un uomo solo al comando che si risolvono problemi strutturali e di sistema della sanità calabrese. La responsabilità della classe politica sta proprio in questo, l’incapacità di proporre riforme e, soprattutto, di attuarle.

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